Parlano Nadja e Bibinur, delegate al Congresso dei popoli dell’Oriente di Baku – 7 settembre 1920

Dal 31 agosto al 7 settembre 1920 si tenne a Baku, già allora un importante centro petrolifero e di lotte operaie, il Congresso dei popoli dell’Oriente, convocato dall’Internazionale comunista. Vi convennero, dopo lunghi, pericolosi e avventurosi viaggi, 1.891 delegati, di cui 1.273 comunisti, gli altri “senza partito”. Erano fortemente presenti i militanti turchi, persiani, armeni, georgiani, azeri, ceceni, ma anche molti provenienti dall’area asiatica centrale (Afghanistan, Turkestan orientale, Khiva, Buchara, Fergana, Samarcanda, Turkmenistan), dall’India e dalla Cina.

55 di loro erano donne. Non furono protagoniste di questo Congresso, ma fecero sentire – qui è il caso di dire: chiara e forte – la loro voce nell’ultima giornata dei lavori; una voce polemica anche nei confronti degli stessi delegati maschi, non pochi dei quali erano contrari ad integrarne tre di loro nell’ufficio di presidenza del Congresso (come poi, a maggioranza, e tra forti applausi, avvenne).

Abbiamo voluto qui riportare i due interventi delle delegate Nadja (del Partito comunista della Turchia) e Bibinur, delegata turkmena, ed affiancare ad essi l’appello delle donne partecipanti alla prima Conferenza panrussa delle attiviste comuniste dell’Oriente alle operaie e contadine della Russia dei soviet, tenutasi pochi mesi dopo. Sono documenti di un’alba rivoluzionaria per le masse femminili sfruttate e oppresse che, nei termini espressi da queste compagne un secolo fa, è durata troppo poco. Come si può vedere, le proletarie dell’Oriente e dei paesi di tradizione islamica non hanno certo atteso i bombardieri dell’alleanza delle democrazie occidentali, né le Ong e le truppe, o le troupe televisive “femministe”-coloniali al loro seguito, per tracciare la prospettiva della propria liberazione. L’hanno tracciata da un secolo, e ribadita in innumerevoli lotte, anche contro di loro.

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Nadja (parla in turco)

Compagni,

il movimento cui le donne dell’Oriente danno ora inizio, non deve essere considerato dal punto di vista di quelle femministe frivole per le quali il ruolo della donna nella vita pubblica deve essere quello di una pianta delicata o di un giocattolo elegante. Questo movimento deve essere considerato come una conseguenza necessaria e importante del movimento rivoluzionario generale che attualmente attraversa tutto il mondo. Le donne dell’Oriente non lottano soltanto per il diritto di uscire senza velo, come spesso si crede. Per la donna orientale, con il suo ideale morale così elevato, la questione del velo è di scarsissima importanza. Se le donne, che sono la metà dell’umanità, restano le avversarie degli uomini, se non hanno gli stessi diritti degli uomini, per la società sarà evidentemente impossibile progredire: lo stato di arretratezza della società orientale ne è la prova inconfutabile.

Siatene certi, compagni: tutti gli sforzi e tutto l’impegno che metterete per realizzare le nuove forme della vita sociale, tutte le vostre aspirazioni, per quanto sincere e vigorose esse siano, resteranno sterili se non farete appello alle donne perché diventino delle vere aiutanti nel vostro lavoro.

Nella specifica situazione venutasi a creare con la guerra, la donna turca ha dovuto abbandonare la casa e i suoi compiti domestici per svolgere diverse funzioni pubbliche. Ma il fatto che le donne turche abbiano svolto, durante la guerra, compiti riservati fino ad ora agli uomini chiamati a combattere e che in certe zone dell’Anatolia, in cui le strade sono impraticabili anche per le bestie da soma, le donne trasportassero sulle spalle i pezzi di artiglieria, e le munizioni destinate alle truppe, non può naturalmente essere considerato un passo avanti nell’opera di conquista dell’eguaglianza politica e sociale da parte della donna. Quanto a quelli che sostengono che le donne, sostituendo le bestie da soma, hanno ottenuto una vittoria sociale, non merita neppure di parlarne. Noi non neghiamo che all’inizio della rivoluzione del 1908 vi siano state delle misure a favore delle donne. Ma non è il caso di esagerarne l’importanza.: esse sono chiaramente insufficienti rispetto allo scopo che ci siamo prefisso.

L’apertura nella capitale e in alcune altre città di qualche scuola primaria o superiore per le donne, e perfino la creazione di una università per le donne, non costituiscono che la millesima parte di ciò che resta ancora da fare. Va da sé che il governo turco, la cui politica si basava sull’oppressione e lo sfruttamento del forte sul debole, non poteva decidere misure più radicali e più decisive in favore della donna, questa schiava dell’uomo.

Noi sappiamo anche che in Persia, a Bukhara, a Khiva, nel Turkestan, in India e negli altri paesi musulmani la situazione delle nostre sorelle è ancora peggiore della nostra. Ma l’ingiustizia di cui noi e le nostre sorelle siamo vittime non resta impunita; lo testimonia lo stato di arretratezza e di decadenza di tutti i popoli d’Oriente. Sappiate, compagni, che il male che è stato fatto alle donne non è mai restato e non resterà mai impunito.

Dato che il Congresso dei popoli d’Oriente volge al termine, sono obbligata, per mancanza di tempo, a rinunciare ad esporvi la situazione delle donne nei diversi paesi d’Oriente. Ma i compagni delegati, che hanno la grande missione di diffondere nei loro paesi i grandi principi della rivoluzione, non debbono dimenticare che tutti i loro sforzi per assicurare ai popoli la prosperità, resteranno sterili senza un vero aiuto delle donne. Per mettere fine a tutti i mali, i comunisti credono necessario istituire una società senza classi, e a questo scopo dichiarano una guerra implacabile a tutti i borghesi e alle classi privilegiate. Le donne comuniste d’Oriente hanno una battaglia ancor più difficile, in aggiunta, che è quella contro il dispotismo dei loro uomini. Se voi, uomini d’Oriente, resterete, come in passato, indifferenti al destino della donna, siate sicuri che i nostri paesi andranno in rovina, e voi e noi rovineremo insieme con essi; per noi l’alternativa è intraprendere, assieme agli altri oppressi, una lotta a morte per la conquista dei nostri diritti.

Ecco, in sintesi, le principali rivendicazioni delle donne. Se voi volete la vostra emancipazione, prestate ascolto alle nostre rivendicazioni e dateci un aiuto e un sostegno efficaci:

  1. completa uguaglianza di diritti;
  2. diritto incondizionato della donna a ricevere, allo stesso titolo dell’uomo, la stessa istruzione generale o professionale in tutte le scuole a ciò adibite;
  3. uguaglianza di diritti dell’uomo e della donna nel matrimonio. Incondizionata abolizione della poligamia;
  4. incondizionata ammissione delle donne a tutti i pubblici impieghi e a tutte le istituzioni amministrative;
  5. organizzazione in tutte le città e i villaggi di comitati per i diritti e la protezione delle donne.

Tutto ciò è incontestabilmente un nostro diritto esigerlo. I comunisti, che hanno riconosciuto che noi abbiamo eguali diritti, che ci hanno teso la mano, avranno in noi donne le compagne più leali. Certo, è possibile che noi vaghiamo ancora nelle tenebre, che dobbiamo varcare ancora dei precipizi, ma non abbiamo paura, perché sappiamo che per arrivare all’alba è necessario attraversare la notte.

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Bibinur (parla in turkmeno)

Vi saluto, cari compagni, a nome delle operaie e proletarie russe e musulmane della città di Aulié-Ata.

Cari compagni, siete venuti qui, al Congresso dei popoli d’Oriente, per risolvere gli immensi problemi che avete davanti. Voi rappresentate la parte migliore dei lavoratori e delle masse oppresse. Tutte le nazionalità dell’Oriente oppresse e sfruttate senza pietà per secoli dallo zarismo e dagli imperialisti ripongono in voi, loro delegati, ogni speranza.

Noi, donne d’Oriente, subiamo uno sfruttamento infinitamente più duro di quello degli uomini, e siamo meglio a conoscenza di tutti gli aspetti orribili della vita di queste recluse che sono le donne musulmane d’Oriente.

Ma ora, cari compagni, vediamo finalmente un bel sole che ci riscalda con la sua carezza, come fa una mamma con il bimbo nella culla; questo sole, il primo che abbiamo visto splendere, è il potere dei soviet dei deputati operai, contadini e dokhanis.

Il potere sovietico è nostra madre, e noi siamo suoi figli. E l’anima di questo potere sovietico che ci libera ed è l’avanguardia dei lavoratori del mondo intero, è il Partito comunista russo, è la valorosa Armata rossa che, a prezzo del sangue degli operai nostri fratelli, ha conquistato la giustizia per gli oppressi. Anche noi dobbiamo lottare senza tregua e lavorare per l’emancipazione di tutti i popoli oppressi d’Oriente.

Noi donne ci risvegliamo dall’incubo dell’oppressione, scuotiamo il giogo che ci stringeva e ogni giorno ingrossiamo i vostri ranghi con il meglio delle nostre forze. Guardiamo avanti al vostro fruttuoso lavoro.

Viva il Congresso dei popoli dell’Oriente rosso!

Viva tutti i popoli dell’Oriente oppresso!

Viva la Terza Internazionale!

Viva la sezione delle donne della città di Aulié-Ata e del Turkestan tutto!

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Noi donne dell’Oriente… (alle lavoratrici della Russia dei soviet)

Per voi è stato difficile vivere nella Russia degli zar, ma di gran lunga più difficile è stato per noi, donne dell’Oriente, sopravvivere all’umiliazione e oppressione di secoli. Noi non siamo mai stati esseri umani, ma oggetti. (…) Siamo sempre state separate dal mondo da un muro che ci pareva incrollabile, non potevamo conoscere le gioie della vita, non abbiamo mai saputo a cosa servisse la nostra schiavitù e, soprattutto, per secoli e secoli non siamo mai riuscite a capire come si poteva eliminare.

Non osavamo neppure pensare alla lotta, alla ribellione, e così ci fidavamo dei baj, i ricchi proprietari terrieri, e ancora di più dei mullah che facevano di tutto per convincerci che così era sempre stato e che questo era l’unico modo per essere rispettate e protette. Grazie al parandja, che loro chiamavano il simbolo del nostro onore e della nostra dignità, ci separavano dal mondo e vendevano le ragazze a chi pagava di più.

Schiave nascevamo e schiave morivamo. Così trascorreva la vita di migliaia, di milioni di donne e pareva che quello dovesse essere il loro destino eterno, che non ci potesse mai essere una mano capace di spezzare le loro catene. Ma ecco che nell’ottobre 1917 apparve una stella rossa, mai vista prima, e fu così che le operaie e le contadine si unirono alla Rivoluzione e che questo cambiò le loro vite. Da noi arrivò notizia di quegli avvenimenti tardi e in modo confuso, saltuario. Perché potesse giungere a noi, donne dell’Oriente, dovette penetrare attraverso le mura, le inferriate e i nostri parandja.

Per molto tempo noi non ci abbiamo creduto. I mullah ci minacciavano e ci spaventavano con i castighi celesti, mentre i nostri mariti, padri e fratelli facevano di tutto perché non avessimo contatti con il mondo. Le compagne lavoratrici che sono venute da noi dalla Russia sovietica hanno conquistato la nostra fiducia e molte di noi hanno cominciato a rispondere ai loro appelli, a seguire il loro esempio, a insegnare alle altre a liberarsi dalla soggezione, a non vergognarsi più, a non avere paura. (…) Noi crediamo nella vostra energia e sappiamo che in avvenire ci verrete sempre in aiuto per impedire che noi donne dell’Oriente possiamo essere ricacciate nell’antica schiavitù, chiuse ancora dietro le inferriate, soffocate sotto i veli della sottomissione e della solitudine”.

[Dall’appello delle partecipanti alla prima Conferenza panrussa delle attiviste comuniste dell’Oriente alle operaie e contadine della Russia dei soviet, 7 aprile 1921]

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