L’ultimo rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici, di Luc Thibault e Pasquale Cordua

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Un incremento di 1,5°C! E’ questo il livello del riscaldamento globale che sarà raggiunto nel 2030, cioè dieci anni prima di quanto già previsto dalle precedenti analisi climatologiche. L’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC)1 è stato pubblicato il 9 agosto del 2021 e non lascia dubbi su una serie di variabili analizzate riguardanti i cambiamenti del clima della Terra.

Molti di questi cambiamenti sono senza precedenti in migliaia, se non centinaia di migliaia di anni, e alcuni tra quelli che sono già in atto – come il continuo aumento del livello del mare – sono irreversibili in centinaia o migliaia di anni.

Le conclusioni cui è giunto il Rapporto Climate Change 2021 hanno fatto notizia sulla stampa e sui social aprendo la strada a numerose dichiarazioni e reazioni, ma per noi è essenziale capire le lezioni che esso offre e le critiche che possiamo mettere in campo contro le decisioni ed i provvedimenti che i vari governi attueranno dando per sicuro che nessun paese del mondo si piegherà a “riforme” strutturali e radicali per riparare i danni che il modo di produzione capitalistico, e non una generica attività umana, hanno provocato al pianeta.

Sebbene l’IPCC dia abitualmente giudizi prudenti, i suoi rapporti restano comunque un importante contributo di conoscenze, di dati e di previsioni e non mancano alcune indicazioni di possibili misure da adottare per “frenare” gli effetti del cambiamento climatico.

Qual è, dunque, lo stato delle conoscenze e come si prevede che evolverà il clima globale nei prossimi periodi? Quali misure dovrebbero essere prese per limitare il riscaldamento globale ad un livello “sostenibile”?

Il primo volume del Rapporto è stato pubblicato e recepito dai paesi membri dell’IPCC, ma è possibile che questi ne chiedano revisioni e/o ulteriori specificazioni. E’ diviso in varie sottosezioni ed è il risultato degli ultimi sette anni di ricerca sul tema. Una sezione particolarmente importante è la prima: Summary for policymakers e viene subito da chiedersi come faranno i policymakers ad imporre (ammesso che lo vogliano e che ne siano indipendenti!) all’“economia”, al capitale, i provvedimenti del caso.

Qui riassumiamo le principali conclusioni cui giunge il Rapporto. Anzitutto esso fornisce una panoramica dello stato attuale del clima globale. In secondo luogo formula ipotesi sull’evoluzione del sistema climatico ed i rischi globali e regionali. Infine propone una serie di scenari evolutivi (in gergo, “percorsi”) secondo i tassi di riduzione o meno delle emissioni di gas serra (componente principale del riscaldamento globale). Il riassunto che presentiamo segue la struttura del Rapporto IPCC.

Il cambiamento climatico antropogenico è già visibile ed innegabile

In primo luogo il Rapporto ribadisce l’indiscussa origine antropogenica del cambiamento climatico. Attualmente l’incremento è di 1,1°C a partire dal 1850. Si ribadisce con forza che questa variazione, giudicata notevole per l’equilibrio dell’ecosistema, non può essere dovuta a cicli climatici naturali o ad eventi unici come anomale attività solari o attività vulcanica. Lo studio delle variazioni climatiche a lungo termine conferma che un tale cambiamento in grandezza e velocità è senza precedenti nella storia climatica delle ultime centinaia di migliaia di anni. Inoltre l’aumento della temperatura nell’ultimo mezzo secolo è il più veloce che si sia osservato.

Qual è la causa? Il Rapporto sostiene essere dovuto all’attività umana degli ultimi secoli che ha rilasciato forti quantità di gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto) le cui concentrazioni nell’atmosfera sono aumentate rispettivamente del 47% (CO2), del 156% (CH4) e del 23% (NO2) a partire dal 1850. Il rilascio di questi gas nell’atmosfera causa l’effetto serra e aumenta il forcing radiativo2 della superficie terrestre. Così l’equilibrio tra l’energia ricevuta e quella restituita dalla Terra è perturbato. Gli oceani assorbono la maggior parte (circa il 70%) di questo surplus di energia mentre l’atmosfera assorbe il resto riscaldandosi. Il meccanismo è spiegato nel dettaglio nell’articolo di Good Guy. Attualmente abbiamo raggiunto una concentrazione di 410 parti per milione di CO2.

Il Rapporto spiega inoltre che il riscaldamento, con le perturbazioni meteo che genera, è già visibile in molte parti del mondo. Così, l’aumento di eventi estremi, particolarmente visibile quest’estate con incendi e inondazioni sparsi in tutto il mondo, è una conseguenza diretta del cambiamento climatico causato dall’uomo. Dall’ultimo rapporto dell’IPCC (2014) onde di calore, precipitazioni estreme, incendi boschivi e cicloni si sono moltiplicati. Le variazioni climatiche sono distribuite in modo molto eterogeneo nel mondo.

Il Rapporto propone poi una misura più precisa della sensibilità climatica della Terra, cioè di come reagirebbe il pianeta nel caso di un raddoppio della concentrazione di CO2. Se questa soglia venisse raggiunta, la temperatura aumenterebbe di 3°C con un intervallo di confidenza tra 2,5 e 4°C. – questa stima è molto più precisa rispetto al Rapporto del 2014. Quali sono dunque le prospettive del cambiamento climatico per i prossimi anni?

1.5°C entro il 2030, 4,5°C entro la fine del secolo, se nulla cambia

L’IPCC formula cinque cosiddetti scenari di riferimento che dipendono dal tasso di cambiamento delle emissioni di gas serra. Questi scenari chiamati “SSP” in questo nuovo rapporto vanno da SSP1-1.9, corrispondente a zero emissioni nette con cattura entro il 2050 fino a SSP1-8.5 noto come “business as usual” che corrisponde allo scenario in cui non vengono prese serie misure di riduzione delle emissioni.

La prima grande asserzione è che tutti gli scenari portano ad un incremento di 1,5°C già dal 2030 cioè dieci anni prima di quanto previsto dal Rapporto del 2014. Ciò significa che si dà per accertato che il cambiamento climatico ha subito un’accelerazione. Solo i due scenari che prevedono tagli drastici delle emissioni (SS1-1.9 e SSP1-2.6) possono mantenere l’incremento sotto i 2°C in questo secolo. Il Rapporto spiega chiaramente che ogni mezzo grado in più aumenta esponenzialmente gli eventi meteorologici estremi.

Un aumento oltre i 2°C aumenterà significativamente la frequenza di ondate di calore mortali, di precipitazioni estreme e di crisi della produzione agricola. Alcune regioni sperimenteranno probabilmente un riscaldamento quasi doppio rispetto alla media (regioni semiaride, Sud America) mentre questo si triplicherà per le regioni artiche. Si prospettano grandi interruzioni del ciclo naturale dell’acqua3 che porteranno sia a precipitazioni estreme che ad un aumento dei periodi di siccità grave.

Il tasso di cambiamento climatico potrebbe essere accelerato anche dai cd. anelli di feedback4 che avrebbero un effetto catalitico sul cambiamento di temperatura. Per esempio, l’IPCC sottolinea che è molto probabile che l’aumento di temperatura riduca la capacità degli oceani e della terra di agire come serbatoi naturali di carbonio. Per esempio, il più grande sink (serbatoio) terrestre, la foresta amazzonica potrebbe diventare un emettitore netto di CO2 in caso di forte aumento della temperatura capovolgendo la sua attuale funzione. Un altro importante ciclo di feedback è lo scioglimento dei ghiacciai e del ghiaccio marino. Lo scioglimento della banchisa polare (v. nota 4) fa diminuire l’energia riflessa nello spazio. D’altra parte lo scioglimento del permafrost (manto gelato sopra superfici terrestri anche non emerse) potrebbe portare all’emissione delle grandi riserve di gas (soprattutto metano) sottostante accelerando il cambiamento climatico.

Il superamento di certe soglie (i cd punti di ribaltamento) potrebbero portare a cambiamenti irreversibili nei prossimi millenni. IPCC sostiene che questi cambiamenti saranno particolarmente visibili nell’oceano: aumento del livello dei mari (da 50cm a 2m nel 2100, secondo gli scenari prospettati), acidificazione e deossigenazione. Il ghiaccio artico potrebbe sparire completamente durante l’estate già entro il 2050 con il conseguente effetto incrementale di cui si è già detto.

Le conseguenze del cambiamento climatico saranno visibili ovunque

Secondo il Rapporto gli effetti si faranno sentire in tutte le regioni del mondo a partire dal 2030 anche se con una notevole variabilità dovuta a caratteristiche locali particolari che possono avere influenza sul cambiamento climatico. Per esempio, un riscaldamento globale di 1,5°C non implica un aumento omogeneo in tutto il mondo, ma può mostrare forti disparità regionali con alcune zone particolarmente colpite.

Entro il 2030 tutte le regioni del mondo potrebbero sperimentare eventi estremi come inondazioni, incendi, tempeste, siccità. Un’intera gamma di regioni potrebbe essere colpita dall’aumento del livello dei mari. IPCC sottolinea che l’urbanizzazione aumenta fortemente i picchi di calore (effetto cupola di calore delle città).

Inoltre IPCC fa notare la possibilità di una fuga imprevista della macchina climatica con una rapida perturbazione. Tale fuga moltiplicherebbe gli eventi climatici suddetti. La possibilità di una tale fuga e di una brutale destabilizzazione del sistema climatico aumenta con l’aumentare della temperatura e pertanto il superamento della fatidica soglia dei 2°C porta ad un aumento dell’incertezza sulla definizione dello scenario successivo. Oltre questa soglia è possibile che la mitigazione del fenomeno e l’andamento del cambiamento diventino molto più difficili da prevedere e controllare. Uno dei rischi principali è il collasso della Corrente del Golfo che regola il ciclo delle acque atlantiche che riguarda gran parte del mondo.

Limitare il cambiamento climatico: ogni tonnellata di CO2 emessa conta

Prima di tutto è necessario sapere che esiste una forte relazione lineare tra la quantità di CO2 nell’atmosfera e l’aumento della temperatura terrestre (1000 Gtonn causano un aumento di 0,45°C). Si calcola che dal 1850 ad oggi l’umanità ha emesso quasi 2390 Gtonn di CO2. Pertanto, per limitare il cambiamento climatico, occorre una riduzione della produzione di gas serra (oltre la CO2 ricordiamo il metano e il protossido d’azoto) e l’unico modo è raggiungere al più presto il livello di emissioni nette zero, vale a dire che le poche emissioni rimanenti dovranno essere compensate dallo sviluppo dello stoccaggio del carbonio sia in modo naturale (oceano, foreste, nuovi usi della terra) sia in modo artificiale. IPCC fa notare che una rapida e forte riduzione delle emissioni potrebbe permettere di limitare il riscaldamento limitando la crescita dell’inquinamento atmosferico e migliorando la qualità dell’aria.

Per mantenere l’incremento ad 1,5°C il “budget” di carbonio rimanente è di circa 500Gtonn di CO2 (questo budget ha il 50% di probabilità calcolata di poter essere sufficiente per il suo contenimento) ma se si dovesse superare questa quantità, le probabilità di contenerne gli effetti si ridurrebbero esponenzialmente mentre per non superare i 2°C di incremento la soglia è di 1350 Gtonn. Raggiungendo la neutralità del carbonio (sotto il livello di quantità emessa di 500 Gtonn) sarebbe possibile, secondo IPCC, invertire in qualche misura il cambiamento climatico ma alcune conseguenze saranno già irreversibili come già detto nei primi righi di questo scritto e fortemente ribadito nel Rapporto.

Nel caso di una forte e rapida diminuzione delle emissioni i miglioramenti potrebbero essere visibili dopo circa venti anni, cioè intorno al 2040-2050, con un miglioramento della qualità dell’aria, un rallentamento (non un blocco!) del cambiamento climatico e la riduzione degli eventi meteorologici estremi (scenari SSP1_1.9 e SSP1- 2.6). Tali scenari delineano quindi un percorso per limitare e mitigare il cambiamento climatico in modo sostenibile e in un lasso di tempo ragionevole. Tuttavia è necessario chiedersi cosa significa in pratica il concetto di neutralità del carbonio, cosa che sarà analizzata nei prossimi volumi del Rapporto Globale che si prevede sarà completato nel 2022.

Non è solo il carbonio a portare la responsabilità del cambiamento climatico. Il 25% rimanente è legato agli allevamenti di bestiame (per circa 2/3), alla deforestazione, alle arature, concimazioni e diserbanti. Dobbiamo quindi cambiare rapidamente le pratiche agricole.

L’esempio della Francia: una legge che non risponde all’urgenza

Un esempio del modo ipocrita e inconsistente con cui i governi borghesi rispondono agli allarmi contenuti nei rapporti dell’IPCC e alle relative, quasi sempre moderate, raccomandazioni, è quello della Francia di Macron, che ha tenuto spesso a presentarsi come un campione della “lotta al cambiamento climatico” – e verremo quanto prima a mostrare l’inganno propagandistico che il governo Draghi ha costruito intorno al carattere presuntamente “ecologico” del suo Pnrr.

In Francia la neutralità del carbonio entro il 2050 è stata sancita dalla legge di Strategia Nazionale di Basse Emissioni di carbonio (SNBC). Per il 2030 l’obiettivo fissato è una riduzione del 40% delle emissioni rispetto al livello del 1990. Per dare seguito (formalmente) a questi impegni, il governo Macron ha convocato una Convenzione dei Cittadini sul Clima (CCC) che ha formulato 149 proposte volte a raggiungere le soglie stabilite. Queste proposte, che avrebbero dovuto essere accolte per intero e senza filtri, secondo i discorsi presidenziali, in realtà hanno avuto un seguito molto, ma molto, parziale. Il disegno di legge che ne risulta, la cd Legge sul Clima, accoglie in realtà solo 18 proposte delle 149 avanzate, mentre 26 di esse sono state accantonate e tutte le altre modificate, emendate, svilite.

Uno studio condotto dalla società indipendente Carbone4 ha cercato di valutare l’impatto delle politiche pubbliche rispetto agli obiettivi di riduzione delle emissioni dichiarati. Per 10 dei 12 parametri che strutturano la politica sul clima, l’azione dello Stato francese, supposto che fosse realmente quella che risulta dagli impegni formali assunti, sarebbe largamente insufficiente e resterebbe ben lontana da una logica globale di cambiamento delle abitudini ecocide del capitalismo francese. Le misure emanate non dovrebbero essere applicate in modo frammentario, ma costituire un progetto complessivo coerente in cui si completino reciprocamente. La Legge sul Clima, invece, è composta solo da una parte delle misure meno essenziali che da sole non permettono neppure di seguire le correzioni di rotta, peraltro parziali, suggerite da IPCC. Ciò significa che, a fronte della finalità proclamata in origine, la Legge francese sul clima e la Resilienza è una semplice imbiancata di facciata compiuta dai membri del governo. Tutte le politiche finora condotte (Grenelle de l’Environnement, legge sulla transizione ecologica per la crescita verde, legge sul clima) non sono certo all’altezza della sfida. Vista l’urgenza e la drammaticità della situazione descritta da IPCC, e sia pure – lo ripetiamo – con una prudenza che a noi sembra dettata dalla preoccupazione di non creare troppo allarme, si dovrebbe mettere in atto un immediato e radicale cambiamento delle politiche ecologiche! Il cambiamento climatico è già percepibile, la biforcazione ecologica deve essere avviata ora e concretizzata nei prossimi anni, un decennio al massimo. L’“economia verde” e tutte le misure di rattoppo del capitalismo non serviranno a nulla! Dobbiamo denunciarle e contrastarle senza sosta, portando nelle lotte parziali e nelle mobilitazioni giovanili che si stanno dando su questo terreno, un nostro catalogo di misure radicali retto da una convinzione: per fermare davvero la catastrofe climatica incombente c’è una sola soluzione, la rivoluzione comunista con un programma globale per l’umanità e la natura.

***

Esiste una connessione tra i lockdown legati alla pandemia e le cause dei cambiamenti climatici?

Nel Rapporto c’è un capitolo riguardante la relazione tra lockdown e ambiente. Ipccitalia.cmcc ne ha tratto una sintesi che qui riproponiamo integralmente e che apre la strada ad una proposta che riguarda il modo di produzione capitalistico. Non si tratta di ipotesi di “decrescita felice” più o meno locale, ma di un rivoluzionamento del modo di produzione per il profitto in produzione per i bisogni, ipotesi inaccettabile ed incompatibile con il capitalismo.


Un aspetto interessante affrontato nel capitolo 6 riguarda la pandemia COVID-19 che, in conseguenza dei lockdown estesi in tutto il mondo, ha causato la riduzione in tempi brevissimi sia delle emissioni di inquinanti atmosferici che dei gas serra. Per quanto riguarda i primi, si è assistito a un seppur temporaneo miglioramento della qualità dell’aria in tutto il pianeta. Per quanto riguarda i secondi, i lockdown hanno prodotto una riduzione del 7% delle emissioni di CO2 a livello globale, un dato enorme che non ha precedenti negli ultimi 50 anni. A questo però non si è associata una riduzione della concentrazione di CO2 e, conseguentemente, nessun apprezzabile effetto sulla temperatura del pianeta. Questo dato conferma che per contrastare il riscaldamento climatico sono necessarie riduzioni della concentrazione di CO2 e degli altri gas serra di grossa entità e sostenute nel tempo fino a una completa decarbonizzazione perché per apprezzare gli effetti della riduzione delle emissioni sulla concentrazione di gas serra in atmosfera sono necessarie azioni e strategie di lungo periodo.

Note

1 – IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), creato dall’ONU nel 1988, riunisce 234 scienziati che valutano lo stato delle conoscenze sul cambiamento climatico e pubblica rapporti tematici ed un rapporto globale che valuta lo stato del clima ogni sette anni sintetizzando i lavori scientifici sull’argomento. Può essere utile ricordare la differenza tra meteorologia e climatologia: la prima si occupa del solo aspetto dei fenomeni meteo e per di più a breve periodo, mentre la climatologia affronta il sistema globale terrestre con l’uso anche di modelli matematici e statistici, studi di proiezione, previsione e simulazione, studi di fisica e chimica, biologia.

2 Il forcing radiativo è la misura dell’influenza di un fattore (ad esempio l’aumento di CO2 o altri gas serra nell’atmosfera) nell’alterazione del bilancio tra energia entrante ed energia uscente nel sistema Terra-atmosfera. Esso è indice del peso di un fattore nel meccanismo del cambiamento climatico. Un forcing positivo è associato ad un riscaldamento della superficie terrestre, mentre un forcing negativo è associato ad un raffreddamento. È generalmente espresso in W/mq

3 Ciclo dell’acqua (o ciclo idrogeologico) consiste nella successione delle fasi di evaporazione, condensazione, precipitazione ed infiltrazione. Si tenga presente che il sole nella prima fase del ciclo scalda l’acqua di mari fiumi, laghi ma anche quella interna agli organismi viventi (piante, animali, uomini)

4 Tralasciando la distinzione tra anelli (potremmo chiamarli cicli) aperti e chiusi l’esempio più semplice è quello dello scioglimento della calotta polare. Quando la temperatura globale aumenta, i ghiacci polari fondono ad una velocità superiore ma la superficie emersa della calotta riflette meno la luce solare rispetto al ghiaccio che quindi l’assorbe maggiormente accelerando ancora di più il processo.

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